Reporting from the front sarà il titolo della Biennale Architettura 2016 che è alle porte, mancano ancora circa 2 mesi.
Le aspettative per la 15esima edizione, attesa a livello internazionale, sono notevoli, soprattutto per chi come me attende questo momento per capire il reale distacco fra chi teorizza e costruisce l’architettura e chi la vive senza coglierne la presenza stessa.
La foto che ho inserito come immagine rappresentativa del post è l’esempio di come questo FRONTE, in una delle sue possibili declinazioni, sia a volte molto vicino a noi. È chiaro che la Biennale andrà molto oltre ma mi sembra utile questo esempio per introdurre una visione di architettura vicina alle persone.
Si vede un muro di confine tra due lotti privati e abitati nel centro storico veneziano: un evento atmosferico ha portato all’abbattimento del confine fisico; la sua ricostruzione deve ancora avvenire perché bloccata da lungaggini burocratiche. Questo è chiaramente un esempio in scala minore, ma può far capire come il degrado urbano, uno dei tanti FRONTI dove l’architettura sembra impotente, a volte sia causato anche da fattori esterni. E l’architettura in senso ampio ha il dovere di occuparsi della risoluzione, non solo degli aspetti pratici, ma deve essere capace di mettere in moto anche la macchina politica, economica e burocratica necessaria a risolvere queste problematiche.
Come si legge nella presentazione, questa Biennale vuole analizzare con occhio “esterno”, capace di cogliere l’assieme di una serie di elementi, tutte quelle situazioni di “fronte”, inteso nelle varie sfaccettature che si possono pensare in architettura. E quindi non solo confine e periferia ma fronte anche come zona di battaglia intellettuale che ha portato alla creazione di zone mal costruite, “che rappresentano un triste infinito numero di occasioni mancate per l’intelligenza e l’azione della civiltà umana. Molte realtà tragiche, altre banali che sembrano segnare la scomparsa dell’architettura.
Fronte anche in accezione positiva dove ci sono “anche segni di capacità creativa e risultati che inducono a speranza“…”non nell’incerto futuro delle speranze e dell’ideologia“.
Sono anni ormai che alle presentazioni delle Biennali o di qualsiasi altro evento legato a questo mondo, si sottolinea come l’architettura debba essere alla portata di tutti e sia anche necessario riuscire a spiegarla perché possa essere compresa e vissuta nel modo corretto.
Con un occhio rivolto alla mia città ricordo molto bene la biennale del 2004, forse la più “scolastica” degli ultimi 20 anni. Ma anche la più ricca di progetti concreti. Per molti forse un’esposizione troppo rivolta agli addetti del settore che sanno leggere prospetti e planimetrie, che colgono l’importanza di alcuni temi, anche se allo stesso tempo poco libera concettualmente.
In questo senso si era parlato, molto in ottica Veneziana, come dicevo, di waterfront. Elemento che da punto di forza della Venezia d’acqua, rischiava (o rischia ancora) di essere dimenticato nello sviluppo locale dei nuovi progetti di recupero di aree dismesse o legate ad un modo vecchio modo di usare il territorio.
Il riferimento principale in questo caso è l’area industriale di Porto Marghera, con il suo affaccio sulla laguna. Area che, proprio all’inizio degli anni 2000, viveva una forte volontà di recupero verso il terziario. Negli anni si è capito che il processo di svolta green dell’area sarebbe stato complesso e non completamente attuabile. Anche se La realizzazione del Vega e (pian piano) la sistemazione delle aree adiacenti sta andando in questo senso.
A parte i problemi recenti legati ai finanziamenti per terminare anche le bonifiche dei vecchi siti che rappresentano un serio problema ambientale, dal punto di vista architettonico attualmente la zona di Porto Marghera resta sempre di fatto una periferia. Produttiva, ma periferia, con una serie di problemi legati all’impatto sullo sviluppo urbano.
A leggere nella presentazione della Mostra di Architettura, nelle parole del suo direttore Alejandro Aravena, “REPORTING FROM THE FRONT si propone di dare ascolto a quelli che hanno potuto acquisire una prospettiva e che sono quindi in grado di condividere sapere ed esperienze con noi che stiamo in piedi sul terreno“…”L’avanzamento dell’architettura non sia un obiettivo in sé, ma un mezzo per migliorare la qualità di vita delle persone. Dato che la vita oscilla tra le necessità fisiche più essenziali e le dimensioni più immateriali della condizione umana, ne consegue che l’impegno per migliorare la qualità dell’ambiente edificato deve agire su molti fronti: dalla garanzia di standard di vita molto pratici e concreti, all’interpretazione e alla soddisfazione dei desideri umani, dal rispetto dell’individuo alla cura del bene comune, dall’efficienza nell’accogliere le attività quotidiane all’espansione dei confini della civiltà“.
Da un certo punto di vista, per chi è addetto ai lavori, niente di nuovo, si direbbe. D’altra parte il presidente della Biennale, Paolo Baratta, aggiunge che “Ci interessa la consapevolezza che l’architettura, se è utile per condurre la realizzazione di beni pubblici, è essa stessa un bene pubblico, nella definizione tecnica del termine (un bene il cui godimento da parte di uno non riduce le possibilità di godimento da parte di altri); come tutti i beni pubblici può nascere o per diretto intervento pubblico o per più elevata sensibilità di chi compie interventi privati, condizione quest’ultima che non esige la benevolenza del privato, ma solo la conoscenza dei molti io che sono in ciascuno di noi, e la consapevolezza che lo spazio nel quale viviamo è questione più ampia dello spazio che occupiamo“.
Dunque credo che i presupposti per nuove riflessioni anche per il territorio veneziano siano molteplici; inoltre la Biennale dedica anche uno sguardo particolare alle città d’acqua con Reporting from Marghera and Other Waterfronts, curato dall’architetto Stefano Recalcati, dove, sempre secondo la presentazione ufficiale della Biennale 2016, si pone l’obiettivo di analizzare “nella sede espositiva di Forte Marghera (Mestre Venezia) progetti significativi di rigenerazione urbana di porti industriali, contribuendo a stimolare una riflessione sulla riconversione produttiva di Porto Marghera“.
Anche se ormai un po’ datato, per concludere, volevo ricordare il progetto Cattedrali del Mare che, trattando nello specifico di città d’acqua si è occupato con molta attenzione, attorno al 2010, anche il tema dei waterfront.